Sanità, indagine: 63% medici vorrebbe essere più digitale ma non sa come fare

Nasce ‘Consulcesi Club’ per aggiornamento dedicato consulenza legale e
convenzioni La digitalizzazione in sanità è un ‘vorrei, ma ho bisogno di supporto’, come emerge dall’indagine ‘Digital Health: attitudini e competenze dei professionisti della salute verso il digitale’, condotta da Consulcesi Group sul proprio database di professionisti sanitari composto da medici, infermieri, psicologi, biologi e altri professionisti della salute. A partire dai dati raccolti, il gruppo ha lanciato una innovativa soluzione digitale, ‘Consulcesi Club’, con news e approfondimenti disponibili h24 su medicina e ricerca, ambiente e salute, sanità digitale, fisco e tasse, norme e diritto, assicurazioni e tutele con formati interattivi e live (podcast, video, guide, infografiche, e-book) e da consultare al bisogno per ripassare le informazioni acquisite negli oltre 300 corsi di formazione Ecm online. Il servizio comprende anche un accesso esclusivo alla banca dati PubMed.
Dall’indagine su 1.300 professionisti sanitari – spiega una nota – emergono 4 profili dei professionisti sanitari e del loro rapporto con la digitalizzazione: ‘sul pezzo’, ‘dipendente’, ‘fuori dal guscio’ o ‘dinosauro’. I profili ‘dipendente’ e ‘fuori dal guscio’ sono il 63% del panel; si caratterizzano per una medio-scarsa dimestichezza con la tecnologia, ma vorrebbero saperne di più. Nel dettaglio, il 34% degli intervistati è definito ‘dipendente’ perché subisce le decisioni della struttura di cui fa parte; il 29% è ‘fuori dal guscio’ perché tende a usare strumenti tradizionali, non è al passo con i tempi, anche se sente il dovere di adeguarsi. Per
questa categoria – evidenzia Consulcesi – sono essenziali corsi di formazione per supportare il processo di digitalizzazione. Solo il 26% dei professionisti sanitari sono ‘sul pezzo’: accolgono la telemedicina come un’opportunità per venire incontro alle esigenze dei pazienti e le altre soluzioni da remoto per aggiornarsi
come professionisti. Tra questi, una percentuale minore (12%) ha skills e autonomia più alte, come ad esempio una gestione smart dello studio medico e delle visite. Questo profilo ama servizi ad alta interattività, con formati innovativi. Infine, solo il 6% rientra nella categoria ‘dinosauro’, perché
particolarmente ostile alle novità e con scarso interesse verso le soluzioni digitali.

I dati del report, inoltre, confermano che ben oltre la metà del campione (circa il 61%) vuole cercare di restare al passo con i tempi, integrando il digitale ai sistemi analogici e tradizionali. A questi si aggiunge un 35% che si dichiara “a proprio agio” con la tecnologia e che spesso viene consultato da colleghi per aiuto.
Complessivamente, i medici si confermano inoltre una categoria desiderosa di sapere e appassionata. Il 60% si informa su temi lavorativi e novità per passione e curiosità, mentre una minoranza (16%) lo fa solo quando ha una necessità specifica o per raggiungere gli Ecm. Pochissimi, infine, tendono a non andare oltre il proprio ambito professionale, solo il 7%.
Nel nuovo Consulcesi Club, ottimizzato per una accessibilità da pc, tablet e smartphone – si legge nella nota – ci sono anche servizi di assistenza assicurativa e legale digitale e da remoto, come apprezzate dai medici ‘sul pezzo’ e ‘dipendente’. E ancora, servizi legali con consulenze illimitate in ambito civile, penale, lavorativo e in tema di responsabilità professionale; soluzioni assicurative per tutti gli ambiti, per la professione e la vita privata, e consulenti specializzati a cui rivolgersi in ogni momento. E poi convenzioni esclusive per accedere a servizi legali e assicurativi, viaggi e sport a condizioni vantaggiose. Contenuti dei corsi volti alla digitalizzazione in sanità sono dedicati ai medici definiti ‘fuori dal guscio’, che potranno così ottenere un supporto nel percorso verso la digitalizzazione, così come richiesto dal Pnrr.

Massimo Tortorella 

Inquinamento, nel Bresciano un’azione legale collettiva per il diritto alla salute

I bambini sono più vulnerabili ai danni dell’inquinamento. Avrebbero diritto a vivere in un ambiente salubre, così come lo avrebbero gli adulti. Non per tutti è così. La stima, ricavata sommando i residenti nei comuni che annualmente superano le emissioni di inquinanti stabilite dalla legge e documentate da Arpa, è che solo nel Bresciano siano almeno seicentomila le persone che respirano aria troppo inquinata. Quasi la metà dei residenti. Di queste, oltre cinquantamila sono bambini al di sotto dei dieci anni di età. La violazione del diritto a vivere in un ambiente sano, stabilito dalla Costituzione e dalle norme comunitarie,
oggi può essere contestata attraverso un’azione legale collettiva con la quale è possibile chiedere un risarcimento e, soprattutto, sensibilizzare le istituzioni a prendere – o continuare a prendere – provvedimenti efficaci per il futuro. Liberi di respirare «Per essere liberi di respirare» è il nome dell’azione legale – alla quale hanno già aderito migliaia di persone nel Bresciano – intrapresa contro lo Stato italiano, così come già accaduto contro la Francia, dal network legale . La contestazione si riferisce all’arco di tempo che va dal 2008 al 2018 e riguarda le realtà che non avevano rispettato la direttiva comunitaria del 2008 che aveva, tra gli scopi, quello di «definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso». Per aderire all’azione legale collettiva è richiesta la residenza – nel periodo 2008/2018 – per almeno un anno continuativo in un comune ove si è verificato il superamento delle soglie massime di polveri sottili e di biossido di azoto . In quel caso, dopo aver inserito il nome del comune, sul sito esce la scritta: «Ci dispiace, l’Aria che hai respirato non è Pulita. Ma c’è una buona notizia: puoi aderire all’azione legale collettiva». Se, invece, il comune di residenza «è salubre», la scritta è: «I Comuni in cui hai vissuto non hanno superato, al momento, i limiti della Direttiva Comunitaria». Sui bimbi i danni più gravi Dell’azione legale si è parlato in un recente incontro promosso da Consulcesi durante il quale sono emersi dati sui rischi per i più piccoli. Il
pediatra David Korn, responsabile dei progetti di Digital Health del Gemelli Irccs, ha spiegato perché i bambini, pur non avendo contribuito all’inquinamento atmosferico, ne subiscono i danni più gravi. «Prima di tutto, i più piccoli respirano molto più rapidamente di un adulto. Un bimbo di 6 mesi, infatti, inspira circa 24 volte al minuto contro i 12 di una persona adulta. Questo vuol dire che, nonostante le piccole dimensioni, essi sono in grado di inalare una gran quantità di polveri sottili ed altre sostanze tossiche presenti nell’aria. I bambini sono più bassi o trasportati sui passeggini, respirano quindi molto più vicini al
suolo ed ai gas di scarico delle nostre auto. Infine, sono organismi in rapidissima crescita : un neonato nei primi sei mesi di vita raddoppia il proprio peso, passando da circa 3 a 6 chili. Questo processo di eccezionale duplicazione cellulare è molto vulnerabile agli agenti inquinanti presenti nell’aria proprio che possono danneggiarlo in modo irreparabile».

Massimo Tortorella  – Consulcesi

Fondazione Consulcesi: pronti a partire per una nuova “Missione Eritrea”

Dal 4 al 14 maggio il dottor Carluccini torna in Eritrea per sostenere lo sviluppo sanitario e la formazione dei medici locali in materia di patologie urologiche

Sostenere la cura e il trattamento di patologie urologiche potenzialmente gravi e particolarmente diffuse tra la popolazione del Paese africano attraverso la formazione di medici e operatori locali, oltre che con visite specialistiche e interventi chirurgici. È questo il macro obiettivo della nuova missione pronta a partire a maggio grazie al sostegno della Fondazione Consulcesi e parte del Progetto Eritrea, uno dei più importanti impegni che il Gruppo porta avanti da ormai 15 anni nell’Area di Azione del Sostegno Sanitario.
«Calcolosi e stenosi dell’uretra, ma anche tumori del tratto urinario sono particolarmente diffusi in Eritrea», racconta il dottor Arturo Carluccini, l’urologo che dal 4 al 14 maggio sarà, per la sua terza missione, presso l’Orotta Hospital di Asmara (Eritrea) per proseguire il programma “Urologia” attivato in passato grazie all’impegno del professor Salvatore Galanti, «urologo dalla altissime capacità professionali e umane», come lo ricorda anche in questa occasione Carluccini, scomparso nel 2020.
Come spiega ancora l’urologo romano che con «immenso orgoglio e gioia» ha ereditato il Progetto, le calcolosi renali se non trattate adeguatamente possono portare a gravi conseguenze, come insufficienza renale e infezioni potenzialmente mortali.
«In Eritrea questa ed altre patologie urologiche risultano particolarmente elevate a causa di una forte componente genetica, ma anche a seguito di una pesante disidratazione, legata alle difficoltà tristemente note nel reperimento di acqua potabile e al clima secco, che inibisce il senso di sete e la sudorazione, portando di conseguenza la popolazione a bere meno».

In questo contesto, la missione di maggio 2023, grazie anche alla partecipazione del tecnico della Dornier che permetterà di risolvere i problemi tecnici relativi al litotritore, al momento fuori uso, vedrà il trattamento delle patologie urologiche attraverso interventi di chirurgia urologica tradizionale e l’implementazione della tecnica del laser urologico e della litotrissia extracorporea, oltre a visite urologiche ed ecografie.
Ma «uno degli aspetti cardine della missione e che sta a tutti particolarmente a cuore è la formazione degli infermieri, dei paramedici e degli specializzandi di chirurgia – aggiunge Carluccini – è su questi professionisti, brillanti ma mancanti delle conoscenze, come della pratica e della strumentazione adeguata
infatti, che poggia la cura e il non meno fondamentale follow-up delle patologie urologiche».
«Missione dopo missione, abbiamo trovato sempre ottimi professionisti che lavorano a tamburo battente, volenterosi di imparare, in grado di apprendere sorprendentemente subito e con una buona manualità», continua Carluccini.
«L’auspicio è di poter contribuire sempre di più al miglioramento del Sistema sanitario e della qualità della vita delle popolazione eritrea attraverso le risorse e la formazione necessarie a questi ottimi professionisti della salute», conclude l’urologo.
La nuova Missione in ambito urologico va ad arricchire ulteriormente il Progetto Eritrea, programma ad oggi completo in ambito urologico, pediatrico e nefrologico-interventista, nell’ambito della terapia dialitica, per la cura sia dei casi di insufficienza renale acuta, sia dei pazienti con insufficienza renale cronica (IRC) in fase terminale.
Grazie allo sviluppo dei sistemi sanitari e della formazione di medici e operatori locali in Eritrea nell’ambito della terapia dialitica, gli Ospedali di Orotta e Sembel sono diventati il punto di riferimento nel Paese in termini di terapia e formazione, con un livello tecnologico e di professionalità “italiani”, cioè al pari di qualsiasi altro Paese industrializzato.
L’ambizione di Missione Eritrea 2023 è arrivare ad offrire, attraverso 2-3 tappe annuali, il trattamento di dialisi a circa 5mila pazienti cronici e dialisi per acuti a 150 pazienti. In ogni missione l’impegno è garantire 25 interventi chirurgici di urologia, 50 visite urologiche ed ecografie, 20 ore di formazione sanitaria a medici e infermieri.

Consulcesi – Massimo Tortorella

Pediatri e oculisti spostati in Pronto Soccorso: cosa sta succedendo con gli ordini di servizio illegittimi

Per coprire i buchi nel personale dei Pronto soccorso, molto spesso le strutture chiedono ad altri specialisti (come oculisti o pediatri) di lasciare i loro reparti per prestare servizio in Ps al fine di non bloccare i servizi emergenziali. Con i legali di Consulcesi & Partners facciamo il punto della situazione, alla luce delle ultime pronunce giurisprudenziali, e vediamo come agire in caso di ordine non legittimo
La carenza di camici bianchi colpisce più forte in Pronto soccorso: sono circa il 30% gli specialisti in Emergenza-Urgenza mancanti secondo i dati Simeu (Società italiana medicina Emergenza-Urgenza) del 2022. Per un Sistema sanitario come quello italiano, che basa sui PS la prima accoglienza dei pazienti, viste le difficoltà spesso riscontrate sul territorio, è un problema che ha bisogno di una risoluzione immediata. Il governo sta puntando sulle nuove risorse, ampliando i posti a Medicina e nelle specializzazioni successive.
Eppure, la specializzazione in Emergenza-Urgenza nel 2022 ha visto “non affidato” il 50% dei contratti (dati Anaao-Assomed) perché i neo-medici sanno quanto è complesso lavorare in PS e la rifuggono come prima esperienza.
Nel frattempo, le dirigenze ospedaliere cercano disperatamente una soluzione alle figure mancanti e la trovano, sempre più spesso, in alternative al limite. La prima è quella che Salvatore Manca, presidente SIMEU, ha definito “la scorciatoia pericolosa”. Le cooperative e i “medici a gettone”, che accettano di coprire turni in Ps che altrimenti la carenza avrebbe lasciato vuoti sovraccaricando i colleghi presenti.
Queste cooperative offrono sì medici, ma raramente la specializzazione è quella di Emergenza-Urgenza o una equipollente. Corroborando la falsa credenza che le specializzazioni mediche possano tutte ugualmente lavorare in Pronto Soccorso.Allo stesso modo, nella seconda soluzione, i dirigenti trasferiscono altri professionisti dai loro reparti in Ps per coprire una falla. Spesso con specializzazioni, anche in questo caso, non adatte all’incarico: come
oculisti o pediatri.

Carenza medici in PS: le soluzioni
“Il Pronto soccorso ha perso attrattiva – spiega l’avvocato Francesco Del Rio, partner di Consulcesi & Partners – per almeno tre motivi: primo, c’è una turnistica stressante causata proprio dalla mancanza di personale; in secondo luogo, parliamo di strutture problematiche, in cui si lavora in urgenza, e dunque
molto più difficili da gestire rispetto a qualsiasi altro reparto; in ultimo, c’è un rapporto diretto con il pubblico, il che significa che si ha a che fare non solo con i malati ma anche con famiglie e conoscenti. Può dunque accadere, come purtroppo succede di frequente, di subire aggressioni”. Lavorare al Pronto
soccorso, dunque, “significa andare in trincea, in prima linea”. Con tutto ciò che ne consegue.

“Dal punto di vista organizzativo – spiega ancora l’avvocato del Rio –, il direttore generale e il direttore sanitario di una struttura devono, per forza di cose, far fronte alle necessità che vengono a crearsi: non possono, ovviamente, chiudere il Pronto soccorso per mancanza di personale. Chiedono dunque turni di
reperibilità attiva, oppure vengono direttamente inseriti nella turnazione del PS, ai professionisti già impegnati in altre aree”. E, fin qui, niente di strano. Si tratta di una pratica lecita che può effettivamente contribuire a tamponare le carenze, a fronte però di un aumento dell’orario di lavoro di questi medici.
“Fintanto che vengono spostati in Pronto soccorso medici che hanno specialistiche affini o equivalenti ai colleghi che ci lavorano, l’ordine di servizio potrebbe ritenersi sostanzialmente legittimo. Il problema nasce quando vengono chiamati specialisti che non hanno queste affinità”. Ciò significa che vengono dirottati al Pronto soccorso anche pediatri, otorinolaringoiatri e così via per fare un “lavoro per il quale non sono pagati e neanche formati”.

Gli interventi del Consiglio di stato e del Tribunale di Sassari
La pronuncia del Consiglio di stato n.04881 del 10 settembre 2021 ha sancito un principio molto importante per il personale sanitario, all’epoca alle prese con l’emergenza pandemica da Covid-19. Gli operatori non possono essere adibiti a prestazioni che esulano dalla specializzazione conseguita. “Questa pronuncia –
spiega l’avvocato Marco Croce, anch’egli della rete di Consulcesi & Partners – ha rafforzato il principio della corrispondenza tra assegnazione d’incarico e specializzazione del professionista”.
Sulla stessa lunghezza d’onda una successiva sentenza del Tribunale di Sassari (n.374 del 2021), la quale “riafferma che le guardie interdivisionali sono ammesse per aree omogenee”. Si fa inoltre riferimento al fatto che “la materia è regolata dalla contrattazione collettiva, dal Codice civile e dalla normativa sulla
sicurezza negli ambienti di lavoro. C’è poi da aggiungere che la materia è stata regolamentata anche dalla Legge n.24 del 2017, relativa alla sicurezza delle cure e alla responsabilità sanitaria: se vengono abilitati medici o altri professionisti sanitari alla realizzazione di prestazioni per cui non hanno competenze
specifiche, saltano anche le procedure di sicurezza sulla erogazione standardizzata delle cure, così come i criteri di Risk Management. Si tratta dunque di pratiche da gestire con profonda attenzione”.
“In questa sentenza – continua l’avvocato Croce – si afferma che vanno sempre coordinate, in ambito di pubblico impiego sanitario, sia la disamina delle norme della contrattazione collettiva che la disamina delle norme di legge cogenti. Il contratto collettivo stabilisce in più parti che i servizi di guardia non possono
essere svolti in casi espressamente previsti e, già questo, è un chiaro limite ordinamentale. Ricordiamo che la contrattazione collettiva viene svolta tra una parte pubblica, l’Aran, e le rappresentanze sindacali dei professionisti sanitari dipendenti pubblici. Si tratta dunque – spiega – di una fonte normativa tutt’altro che avulsa dal contesto delle leggi e delle norme, imperative e inderogabili, perché è a tutela della collettività.
Per altro verso, ho apprezzato il coordinamento della materia, e quindi la limitazione alle attività tipiche del profilo specialistico di appartenenza, anche nelle disposizioni di servizio concernenti le guardie interdivisionali, in quanto esistono gli obblighi di cui l’articolo 2087 del codice civile sulla salvaguardia
dell’integrità dell’operatore della salute dipendente pubblico che non può essere adibito ex abrupto in maniera sregolata a svolgere attività riservate a colleghi aventi ben altra specializzazione. E ancora – aggiunge l’avvocato Croce –, la sicurezza negli ambienti di lavoro pone un perimetro di salvaguardie che
non possono a loro volta che essere demandate all’attuazione standardizzata e affidabile di professionisti operanti in quel campo e in maniera strettamente abituale. Quest’insieme di norme coordinate, evidenziate dalla giurisprudenza anche di merito, ci fanno comprendere che speciali servizi di diagnosi e
cura, anche a carattere interdisciplinare, non possono che essere demandati a professionisti in grado in via ordinaria di rispondere alle esigenze assistenziali di volta in volta considerate”.

Malpractice in un reparto non di competenza: cosa succede
Cosa accade, dal punto di vista assicurativo, quando un episodio di malpractice avviene in una situazione in cui il professionista viene messo in un reparto che non è di sua competenza? “Trattandosi di dipendenti –
spiega l’avvocato Del Rio –, ne risponde la struttura. Il problema, però, è che se per l’eventuale danno a terzi a pagare sarà la struttura, resta il fatto che il professionista si è preso in carico un’attività che sa di non poter svolgere. Questo potrebbe avere concreti riflessi negativi in termini di incriminazione penale, da cui il sanitario non potrebbe certo liberarsi soltanto sostenendo di aver eseguito quanto richiesto dall’azienda.
Inoltre, in caso di un’azione contabile per danno erariale, questi può sostenere, legittimamente, di aver rispettato l’ordine ricevuto, ma la condotta tenuta nel caso concreto, ancorché rispetto ad un caso estraneo alla propria competenza, verrebbe comunque vagliata con attenzione dagli organi contabili per
rilevare un eventuale profilo di colpa grave. I rischi dunque restano”.
È evidente quindi che abbiamo un “problema enorme di appropriatezza delle cure”, ovvero un “principio cardine” della legge Gelli-Bianco sulla responsabilità professionale degli esercenti la professione sanitaria.
“Il paziente ha diritto a cure appropriate ma ciò potrebbe non avvenire in casi del genere”. Questo mette dallo stesso lato della barricata sia cittadini che medici: “Se un paziente ha un problema e il professionista
non ha le competenze necessarie per risolverlo, allora entrambe le parti vengono danneggiate e corrono rischi molto seri. Oggi la medicina è specialistica e nessun medico è attualmente in condizioni di saper fronteggiare qualsiasi situazione. Ho parlato personalmente – spiega l’avvocato Del Rio – con decine di medici a cui ciò è successo e sono letteralmente terrorizzati. Fatto, questo, che comporta anche un alto rischio di burnout”.

Come può agire il professionista?
Ma cosa può fare un medico di struttura che, nonostante sia privo delle competenze necessarie, viene spedito al Pronto soccorso per coprire qualche buco di personale? “L’avvocato verifica, prima di tutto – conclude Del Rio – che tipo di ordine hanno ricevuto e con quali modalità sono stati istituiti questi servizi di guardia attiva. A quel punto, se esistono i presupposti, ovvero se sono medici che non hanno affinità o equipollenza con il Pronto soccorso, è possibile predisporre una lettera di contestazione dell’ordine di servizio, a livello stragiudiziale, per chiederne la revoca, in quanto i soggetti non hanno affinità specialistica per andare a lavorare lì, salvo poi impugnarlo giudizialmente qualora ne ricorrano i presupposti per l’annullamento”.

Consulcesi – Massimo Tortorella

Gyrus acquisisce il 40% di Consulcesi Group: inizia una nuova era. Sarà la prima piattaforma digitale internazionale dell’healthcare

Siglato il closing per una quota di minoranza a Gyrus Capital, fatturato a 120 milioni di euro in tre anni

Massimo Tortorella (Consulcesi): “Un’operazione per consolidare la leadership di mercato di Consulcesi in Italia e accelerare l’internazionalizzazione del Gruppo”

Guy Semmens e Mirco Dilda: “La formazione continua e la comunicazione sono leve cruciali per migliorare il servizio sanitario a beneficio del paziente”

Roma, 1° dicembre 2022 – I fondi assistiti da Gyrus Capital acquisiscono il 40% del gruppo Consulcesi. Con il closing firmato a Ginevra, inizia una nuova era per il gruppo fondato da Massimo Tortorella. Già leader in Italia nei servizi digitali dedicati all’assistenza sanitaria e farmaceutica, Consulcesi è ora pronta a creare una piattaforma internazionale dell’healthcare, anche grazie al recente ampliamento e potenziamento della propria compagine societaria.  Ciò ha rafforzato la sua posizione nella fornitura di servizi digitali in ambito education, legal, insurance, communication e business services.

Gyrus Capital è una società di investimento specializzata in sostenibilità e trasformazione digitale con particolare attenzione al settore Healthcare.  La sua esperienza in operazioni di M&A contribuirà a consolidare, da un lato, la leadership di mercato di Consulcesi in Italia, dall’altro, ad avviare un processo di internazionalizzazione, soprattutto in Europa, che porterà Consulcesi a diventare un marchio globale.

«L’intento di questa acquisizione – afferma Massimo Tortorella, fondatore e Presidente del Gruppo Consulcesi – sarà quello di sostenere la crescita del Gruppo per raddoppiare il fatturato entro il 2025 a oltre 120 milioni di euro, mantenendo la redditività storica di oltre il 30%». 

Tale obiettivo, condiviso con Guy Semmens e Mirco Dilda, partner di Gyrus Capital, sarà raggiunto attraverso una serie di operazioni di M&A per “rafforzare le proposte di formazione continua per operatori sanitari e aziende, insieme a una rete di comunicazione e informazione consolidata che può contribuire in modo significativo all’efficienza del servizio sanitario nazionale con benefici diretti ai pazienti”.

Consulcesi è un network legale specializzato in diritto sanitario e detiene la piattaforma digitale più ampia e avanzata in Italia con oltre 250 corsi di formazione a distanza per medici e operatori sanitari. È anche leader di mercato nel marketing digitale, nella ricerca di mercato e in servizi specifici per il settore sanitario e farmaceutico. La leadership di Consulcesi è stata ulteriormente rafforzata dalle recenti acquisizioni dei gruppi PKE e SICS e dalla partecipazione al gruppo editoriale Quotidiano Sanità. Con sede a Balerna (Svizzera) e con uffici a Bruxelles, Londra, Roma e Tirana, il Gruppo Consulcesi impiega oltre 800 persone. Fornisce alle aziende sanitarie soluzioni di analisi dei dati attraverso un database proprietario di oltre 2 milioni di contatti da professionisti del settore sanitario, servizi di marketing multicanale e soluzioni di e-learning.

Gyrus Capital è una società di investimenti europea dedicata agli investimenti di trasformazione nei settori della sanità e della sostenibilità.  Con sede a Ginevra, Svizzera, Gyrus investe in imprese che rispondono alle esigenze strutturali della società e dell’ambiente – e che sono posizionate per una crescita sostenibile a lungo termine.  Gyrus si concentra su operazioni complesse, con particolare attenzione alle scissioni aziendali nell’intervallo da 50 milioni a 500 milioni di euro.  Un rinomato gruppo di partner esperti ed esperti del settore supportano Gyrus nel suo approccio di investimento attivo e creazione di valore in stretta collaborazione con imprenditori e manager.  

Il nuovo Consiglio di Amministrazione conferma Massimo Tortorella, fondatore del gruppo Consulcesi e principale azionista, in qualità di Presidente, Andrea Tortorella in qualità di CEO e Guy Semmens co-fondatore di Gyrus Capital in qualità di Vicepresidente.

ADVISORS

Consulcesi è stata assistita nell’operazione da Rothschild & Co; Gattai Minoli & Partners;  Bär & Kerrer. 

Gyrus Capital da Lenz & Staehelin e Chiomenti LLP

 

Diabete: oltre 1 su 3 in Europa non diagnosticato. Consulcesi arricchisce offerta corsi formazione per più prevenzione e diagnosi precoce.

Secondo gli ultimi dati relativi al 2021, sono 537 milioni gli adulti nel mondo affetti da diabete. Parliamo di 1 persona su 10. Con numeri in costante aumento, le previsioni parlano di oltre il 20% in più entro il 2030 e del +45% entro il 2045. Solo in Europa si contano 61 milioni di adulti diabetici e il 36% di casi non diagnosticati.

I dati arrivano dall’International Diabetes Federation che in occasione della Giornata Mondiale del Diabete 2022, celebrata ogni anno il 14 novembre, esorta ad una maggiore educazione di pazienti e professionisti al fine di ridurre l’insorgenza della patologia e migliorare la diagnosi precoce.

Così Consulcesi, leader italiano nella formazione continua in medicina per il personale medico-sanitario, rafforza il suo impegno nella lotta al diabete ampliando la sua offerta di corsi ECM in materia.

Presenti in catalogo, ben 13 corsi a distanza, tutti disponibili fino al 31 dicembre 2022, termine ultimo per il conseguimento dei crediti ECM obbligatori previsti per il triennio 2020-2022 per tutti i professionisti sanitari. 

Dall’approfondimento sul ruolo degli stili di vita e dell’alimentazione nel corso “La dolce vita. Comportamenti virtuosi nel diabete mellito”, all’aggiornamento sulle terapie emergenti, passando per le potenzialità dell’innovazione digitale nella gestione del paziente nel corso “La telemedicina nel diabete e nell’obesità: creare valore pubblico oltre la crisi Covid-19” fino all’analisi delle comorbidità associate all’ipoglicemia come le cardiopatie, lo scompenso cardiaco e la disfunzione erettile approfondita in “Sessualità maschile nel diabete mellito di tipo 2”.

I corsi, affidati a esperti endocrinologi e specialisti del metabolismo, spaziano così tra le varie tipologie di diabete come anche di pazienti, non mancando di aggiornare i professionisti sulla gestione della patologia durante la gravidanza e sulla correlazione tra l’ipoglicemia e le alterazioni epatiche.

Tra le ultime novità Consulcesi anche il corso “Paziente virtuale: un complesso caso di diabete” che permette all’operatore sanitario di simulare una consulenza medica, testare le proprie conoscenze, porre domande specifiche, prescrivere esami, definire una diagnosi e proporre cure adeguate, per un aggiornamento innovativo e stimolante quanto efficace.

Di fronte alla rapidità della ricerca scientifica in relazione ai trattamenti del diabete mellito e alla gestione delle complicanze, l’aggiornamento continuo dei camici bianchi si rivela di vitale importanza. Accanto a questo, come anche ribadisce l’IDF, la lotta alla patologia deve potenziarsi anche attraverso la prevenzione e quindi l’educazione sanitaria dei pazienti che solo cosi saranno in grado di auto-gestire in modo adeguato la propria malattia.

Consulcesi – Massimo Tortorella

Relazioni tossiche: l’amore patologico colpisce almeno il 5% della popolazione, eppure è sottodiagnosticato

Gori (docente Consulcesi): “Ce ne accorgiamo solo quando sfocia in gesti estremi,
necessaria sensibilizzazione tra medici ed educazione affettiva”

Roma, 19 ott. – Violenza, aggressività, comportamenti che rasentano quelli di un disturbo ossessivo-compulsivo: sono solo alcuni dei segnali visibili di una relazione disfunzionale e tossica che può originarsi da un caso di ‘limerenza’ ignorato.

Ad accendere i riflettori su una patologia tanto diffusa quanto ancora sconosciuta perfino dai professionisti della salute, è Maria Cristina Gori, neurologa e psicoterapeuta che con Consulcesi lancia il nuovo corso di formazione ECM “Limerenza: quando l’innamoramento diventa patologia”.

Una condizione che interessa ben il 5% della popolazione complessiva, ma secondo gli esperti sottodiagnosticata a tal punto da far pensare che le reali stime si aggirino attorno al 20%, “soprattutto fra gli adolescenti, maggiormente esposti all’influenza dei social media, ottimi facilitatori del processo di idealizzazione alla base di questa patologia”.

“Si tratta di uno stadio quasi ossessivo dell’amore romantico. Una condizione che parte dall’innamoramento, forma di delirio sebbene normalizzata e accettata, caratterizzata da un attaccamento e un bisogno di reciprocità estremi e che porta ad una progressiva alienazione da sé stessi e dalla realtà dalle pesanti conseguenze”, racconta la Gori cercando di delineare il complesso quadro di un fenomeno “assolutamente mentale” (ossia indipendente dai segnali mandati dall’altro) che può portare ad essere “disfunzionali nella quotidianità”, impattando il singolo e la comunità di cui fa parte.

“Si smette di essere genitori, figli, perfino compagni; si perde interesse nel mondo esterno, nella propria professione e in tutto ciò che non riguarda l’oggetto di limerenza; si diventa incapaci di guardare oggettivamente e razionalmente ai difetti di questo e non ci sarà comportamento o parola in grado di farci distogliere da questo intenso desiderio”, prosegue l’esperta che nell’e-book disponibile fino al 31 dicembre 2022 (termine ultimo per l’acquisizione dei crediti formativi obbligatori) raccoglie quanto si sa finora su questa condizione di innamoramento patologico, non mancando di evidenziare i rischi di una scarsa se non assente educazione affettiva nelle famiglie e nelle scuole italiane.

“Nei casi estremi, la limerenza può sfociare in atteggiamenti ossessivi e nei fenomeni di aggressività che ritroviamo sulle prime pagine dei giornali”, avverte la Gori che ribadisce il ruolo dei medici e di tutti i professionisti sanitari nella prevenzione e nella diagnosi precoce. 

Come spiega ancora la dottoressa, l’idealizzazione dell’amore che caratterizza la nostra Storia e che passa attraverso le arti e la letteratura, fa sì che ancora troppo spesso intendiamo l’amore solo in termini romantici, impedendoci di identificare la tossicità di un rapporto prima che questo sfoci in malessere, o peggio, in “comportamenti criminali”. 

“Sebbene non vi siano ancora dei criteri di diagnosi universalmente riconosciuti, alcuni strumenti sono già disponibili ai professionisti”, ricorda la Gori, “che dovrebbero essere in grado di riconoscere i segni premonitori di questa ed altre patologie della mente prima che queste danno luogo a situazioni limite e che dovrebbero sensibilizzare giovani e adulti all’ “arte di amare’”, conclude l’esperta citando il noto libro Erich Fromm.

Consulcesi – Massimo Tortorella

Test Medicina: con ricorso iscrizione con riserva per esclusi “ultima spiaggia”

Marco Tortorella, legale di Consulcesi: “Negli ultimi 20 anni lo strumento del ricorso alla giustizia amministrativa ha permesso a decine di migliaia di studenti, esclusi ai test di selezione alla Facoltà di Medicina, di iscriversi ai corsi, di studiare, di fare gli esami e infine di laurearsi. L’esperienza indica che gli studenti entrati con il ricorso, forse anche perché più motivati, sono tra coloro che possono vantare un ottimo percorso accademico”.

Roma, 14 ottobre 2022 – Buone notizie per l’esercito di esclusi al Test di Medicina: non tutto è infatti perduto. Il sogno di diventare un medico può continuare presentando un formale ricorso nei confronti del ministero dell’Istruzione e degli atenei coinvolti. In questo modo è possibile iscriversi a Medicina con “riserva” e iniziare il proprio percorso formativo come i candidati che hanno superato la prova d’ingresso. In presenza di irregolarità accertate o anche semplicemente dimostrando di essere idonei alla Facoltà di Medicina, seguendo i corsi e sostenendo gli esami, è possibile alla fine riuscire a ottenere l’iscrizione a tutti gli effetti alla facoltà desiderata. A spiegare il funzionamento di quella che possiamo definire l’ “ultima spiaggia” per gli studenti che sono convinti di esser stati ingiustamente esclusi ai test d’ingresso è stato l’avvocato Marco Tortorella, legale Consulcesi, in un webinar intitolato “Test Medicina e ora che succede?” che in pochi giorni ha già oltre 10mila visualizzazioni.

“Negli ultimi 20 anni lo strumento del ricorso alla giustizia amministrativa ha permesso a decine di migliaia di studenti, esclusi ai test di selezione alla Facoltà di Medicina, di iscriversi ai corsi, di studiare, di fare gli esami e infine di laurearsi”, riferisce l’avvocato Tortorella. “La nostra esperienza – continua – indica che gli studenti entrati con il ricorso, forse anche perché più motivati, sono tra coloro che possono vantare un ottimo percorso accademico. Segno, questo, che il sistema del Numero Chiuso attualmente in vigore in Italia non è adatto a selezionare gli studenti più meritevoli”.

Già nel 2018-2019, una sentenza del Consiglio di Stato aveva evidenziato le prime falle del Numero Chiuso. “In particolare, il Consiglio di Stato ha ritenuto inadatto l’utilizzo della capacità ricettiva degli atenei, cioè quanti studenti possono accogliere nelle loro facoltà, come unico parametro per stabilire i posti disponibili nelle varie facoltà di Medicina. In quell’occasione il Consiglio di Stato ha evidenziato la necessità di considerare nella scelta del numero dei posti anche il fabbisogno nazionale”. L’anno seguente i posti disponibili sono aumentati di 1500. “Come se magicamente gli atenei avessero scoperto di avere più posti da un anno all’altro”, ironizza Tortorella. Questa sentenza, inoltre, è importante perché ha consolidato le posizioni di quanti si erano iscritti con riserva, che hanno così potuto continuare a frequentare i corsi e a sostenere gli esami. “Gli studenti ricorrenti – continua il legale – hanno dimostrato di essere idonei perché sono andati avanti con successo con il loro percorso accademico”, precisa Tortorella. È invece recente, precisamente di qualche settimana fa, l’ultimo provvedimento del Consiglio di Stato con il quale è stato accolto il ricorso di alcuni studenti, iscritti con riserva, e che ora sono a tutti gli effetti studenti di Medicina. 

Dopo i test di Medicina di quest’anno, in base alle numerose segnalazioni pervenute a Consulcesi, si prevede un numero record di ricorsi. “In questa fase stiamo valutando le numerose segnalazioni che provengono dai candidati che hanno partecipato e che sono stati esclusi”, riferisce Tortorella. “Le segnalazioni riguardano diverse irregolarità, come ad esempio domande e risposte sbagliate o il mancato controllo sull’accesso di dispositivi durante la prova, e le stiamo verificando a una a una per cercare di capire quali di queste potranno essere oggetto di un ricorso davanti all’autorità amministrativa”, aggiunge. 

Il consiglio del legale è quello di non aspettare troppo tempo. “Il ricorso si avvia dando mandato all’avvocato che poi agisce nei confronti del ministero e degli atenei”, spiega Tortorella. “Attraverso un’istanza cautelare in tempi ragionevolmente brevi, nel giro di 2-3 mesi, si può ottenere l’iscrizione con riserva. Ma è importante – sottolinea – mantenere la conferma della graduatoria, un onere che abbiamo contestato ma che c’è e che va assolto periodicamente. Nel frattempo, ci si può iscrivere ad altre facoltà, magari affini a quella di Medicina in previsione di un futuro riconoscimento dei crediti. Qualora si riuscisse a ottenere l’ordinanza cautelare – conclude – il consiglio è quello di fare del proprio meglio per dimostrare e confermare la propria idoneità e consolidare in questo modo la propria posizione”.

PNRR, Tortorella (Consulcesi): “Formazione nel Metaverso chiave per il futuro della Digital Health

Durante l’Audizione in Commissione Affari costituzionali, l’AD Consulcesi ha evidenziato come cogliere l’opportunità del PNRR per attuare una vera digitalizzazione del sistema sanitario 

“La cultura Digitale è la chiave per la piena adozione delle Tecnologie del settore sanitario”. È il messaggio lanciato da Andrea Tortorella, Amministratore Delegato Consulcesi, a margine dell’audizione alla Commissione Affari costituzionali sul tema della Realtà virtuale, aumentata e Intelligenza Artificiale al quale ha partecipato stamani.

Realtà virtuale e realtà aumentata costituiscono un importante strumento al servizio di modelli innovativi in sanità, soprattutto nei campi della telemedicina, della sicurezza e della formazione medica. Accogliamo con grande entusiasmo la spinta che arriva dal PNRR per la digitalizzazione dei servizi sanitari e siamo lieti di contribuire al dibattito aperto dalla Commissione Affari costituzionali”,  prosegue Tortorella, al vertice dell’azienda di formazione del personale medico-sanitario che fa dell’innovazione tecnologica asse portante del suo sviluppo. 

In ambito di digital health, con l’arrivo del Covid-19 abbiamo assistito ad una prima importante implementazione della telemedicina, che finalmente è stata individuata come un modo facile e sicuro per raggiungere un numero sempre maggiore di pazienti. Secondo una recente indagine (Capterra), in Italia l’86% dei pazienti l’ha utilizzata per la prima volta durante il Covid-19 e il 45% lo ha fatto proprio per evitare un possibile contagio, riuscendo a scardinare una vecchia diffidenza nei confronti di questa modalità di relazione medica, che però va ancora implementata pienamente.  

 Altre soluzioni tecnologiche, come la blockchain, stanno riscontrando un crescente supporto da parte di istituzioni pubbliche e private, e gli investimenti riservati nel PNRR ne sono una prova. La blockchain in sanità consente infatti, una maggiore sicurezza attraverso la tracciabilità delle operazioni, negli ambiti che vanno dalla filiera del farmaco alla ricerca clinica alla formazione.   “Le nuove tecnologie possono e devono giocare un ruolo cruciale nel miglioramento dell’assistenza sanitaria nazionale. Tra i molteplici benefici, vi è sicuramente il miglioramento dei servizi di prossimità grazie ad un maggiore coordinamento delle cure e la condivisione sicura dei dati. Ma anche in termini di formazione i professionisti della salute possono trarre enormi benefici dall’utilizzo delle tecnologie e i corsi da remoto, senza alcun tipo di rischi e in grado di riprodurre scenari reali sono solo un esempio”, aggiunge Tortorella.

Le nuove tecnologie rivoluzioneranno anche la formazione medica, secondo Tortorella. Il Metaverso è il luogo ideale dove vivere esperienze educative: dal team building al medicale, il nuovo universo virtuale ha il vantaggio di aiutare a ricreare laboratori, sale operatorie, simulazioni realistiche utili all’apprendimento e all’aggiornamento continuo delle competenze. E inoltre, la sicurezza, in quanto nel processo di formazione fondamentale
è la certificabilità. L’utilizzo della blockchain, proprio per la sua natura “notarizzante”, permette ai professionisti sanitari di certificare in modo inoppugnabile e immutabile il proprio percorso formativo. 

Consulcesi si impegna ad assumere un ruolo di primo piano nel percorso di conoscenza e educazione del paziente nell’ambito dell’adozione delle tecnologie Digital Health. Siamo convinti che l’avvento di queste piattaforme, annunciate anche nel PNRR, debba essere affiancato dalla diffusione di contenuti utili a creare cultura sul pieno e completo utilizzo di questi strumenti e risorse, per evitare di sprecare l’incredibile opportunità data dal Metaverso, conclude Andrea Tortorella. 

Consulcesi – Massimo Tortorella

Doping: più educazione agli atleti e più formazione per i medici, l’appello dell’endocrinologo Toscano (AME)

L’educazione sul gioco pulito dovrebbe essere un elemento costante nel percorso di sviluppo degli atleti, parte integrante del loro allenamento. Questa una delle priorità emerse dall’ultima indagine dell’Organizzazione Anti-doping del Regno Unito, sposata da Toscano. 

Più educazione per gli atleti, quindi ma anche più formazione per i medici che sono chiamati a fare scelte complesse, come le esenzioni di controlli a fini terapeutici (TUE). 

Nella ricerca condotta dall’UKAD “sui comportamenti e sulle influenze del Personale di supporto dell’atleta nella pratica di uno sport pulito” pubblicata in questi giorni preparatori atletici, allenatori e staff intervistati dichiarano di avere la necessità di approfondire la conoscenza in materia di anti-doping, anche attraverso confronti con altri professionisti così da aumentare la loro consapevolezza in materia e garantire una maggiore coerenza nei messaggi divulgati tra gli atleti. Necessità di formazione raccolta da Consulcesi, che ha realizzato un corso interamente dedicato a questo tema dal titolo Doping. Riconoscere e contrastare il fenomeno dello sport amatoriale. 

“Tutti i professionisti della salute devono essere in grado di riconoscere l’abuso di sostanze dopanti, conoscerne sintomi e rischi al fine di poter svolgere una corretta prevenzione e una maggiore promozione di uno sport sano”, commenta l’endocrinologo Vincenzo Toscano, docente del corso Consulcesi Club sulle sostanze anti doping e docente di Endocrinologia presso l’Università Sapienza di Roma che nel nuovo corso ECM fornisce nozioni sull’epidemiologia del fenomeno tra gli sportivi amatoriali, gli ultimi aggiornamenti sulla regolamentazione vigente e le linee guida per i trattamenti.

Il corso è incentrato sul doping amatoriale, un fenomeno sommerso e senza controllo. “A differenza dello sport agonistico, quello che succede nell’attività amatoriale rimane in un sottobosco difficile da individuare” sostiene Toscano. Per questo, i medici e gli operatori sanitari sono chiamati a fare da ‘sentinelle’ per riconoscere e contrastare il problema in tempo.  Il corso intende sensibilizzare endocrinologi, diabetologi e andrologi alle problematiche legate al doping, ma anche di chiarire il ruolo dell’endocrinologo nel processo di domanda dell’esenzione per fini terapeutici (therapeutic use exemption, TUE) di sostanze proibite, ma essenziali, negli atleti endocrinopatici.

Nel corso, disponibile anche per il pubblico in formato e-book, vengono inoltre approfondite le diverse categorie di sportivi e la frequenza dei casi di doping tra queste, con il fine ultimo di sensibilizzare i professionisti della salute sulla diffusione del fenomeno, oltre alle conseguenze mediche e legali correlate.

Agricoltura: mancano 106 mld di crediti all’agricoltura nel sud del mondo, le quattro priorità

(AGI) Roma, 8 apr. – Sostenere un ambiente favorevole ai prestiti fornendo sostegno alle PMI agricole e fare un uso migliore degli investimenti che arrivano da fonti pubbliche e filantropiche. Sono queste due delle quattro priorità di intervento indicate nel rapporto CASA ( Commercial Agriculture for Smallholders and Agribusiness ) nell’Africa subsahariana e nel sud-est asiatico. Il programma CASA ha pubblicato “Lo stato del settore agro-PMI: colmare il divario finanziario”. Lo studio evidenzia un divario finanziario di ben 106 miliardi di dollari in quelle aree nel settore agricolo

Consulcesi – Massimo Tortorella