Sanità, indagine: 63% medici vorrebbe essere più digitale ma non sa come fare

Nasce ‘Consulcesi Club’ per aggiornamento dedicato consulenza legale e
convenzioni La digitalizzazione in sanità è un ‘vorrei, ma ho bisogno di supporto’, come emerge dall’indagine ‘Digital Health: attitudini e competenze dei professionisti della salute verso il digitale’, condotta da Consulcesi Group sul proprio database di professionisti sanitari composto da medici, infermieri, psicologi, biologi e altri professionisti della salute. A partire dai dati raccolti, il gruppo ha lanciato una innovativa soluzione digitale, ‘Consulcesi Club’, con news e approfondimenti disponibili h24 su medicina e ricerca, ambiente e salute, sanità digitale, fisco e tasse, norme e diritto, assicurazioni e tutele con formati interattivi e live (podcast, video, guide, infografiche, e-book) e da consultare al bisogno per ripassare le informazioni acquisite negli oltre 300 corsi di formazione Ecm online. Il servizio comprende anche un accesso esclusivo alla banca dati PubMed.
Dall’indagine su 1.300 professionisti sanitari – spiega una nota – emergono 4 profili dei professionisti sanitari e del loro rapporto con la digitalizzazione: ‘sul pezzo’, ‘dipendente’, ‘fuori dal guscio’ o ‘dinosauro’. I profili ‘dipendente’ e ‘fuori dal guscio’ sono il 63% del panel; si caratterizzano per una medio-scarsa dimestichezza con la tecnologia, ma vorrebbero saperne di più. Nel dettaglio, il 34% degli intervistati è definito ‘dipendente’ perché subisce le decisioni della struttura di cui fa parte; il 29% è ‘fuori dal guscio’ perché tende a usare strumenti tradizionali, non è al passo con i tempi, anche se sente il dovere di adeguarsi. Per
questa categoria – evidenzia Consulcesi – sono essenziali corsi di formazione per supportare il processo di digitalizzazione. Solo il 26% dei professionisti sanitari sono ‘sul pezzo’: accolgono la telemedicina come un’opportunità per venire incontro alle esigenze dei pazienti e le altre soluzioni da remoto per aggiornarsi
come professionisti. Tra questi, una percentuale minore (12%) ha skills e autonomia più alte, come ad esempio una gestione smart dello studio medico e delle visite. Questo profilo ama servizi ad alta interattività, con formati innovativi. Infine, solo il 6% rientra nella categoria ‘dinosauro’, perché
particolarmente ostile alle novità e con scarso interesse verso le soluzioni digitali.

I dati del report, inoltre, confermano che ben oltre la metà del campione (circa il 61%) vuole cercare di restare al passo con i tempi, integrando il digitale ai sistemi analogici e tradizionali. A questi si aggiunge un 35% che si dichiara “a proprio agio” con la tecnologia e che spesso viene consultato da colleghi per aiuto.
Complessivamente, i medici si confermano inoltre una categoria desiderosa di sapere e appassionata. Il 60% si informa su temi lavorativi e novità per passione e curiosità, mentre una minoranza (16%) lo fa solo quando ha una necessità specifica o per raggiungere gli Ecm. Pochissimi, infine, tendono a non andare oltre il proprio ambito professionale, solo il 7%.
Nel nuovo Consulcesi Club, ottimizzato per una accessibilità da pc, tablet e smartphone – si legge nella nota – ci sono anche servizi di assistenza assicurativa e legale digitale e da remoto, come apprezzate dai medici ‘sul pezzo’ e ‘dipendente’. E ancora, servizi legali con consulenze illimitate in ambito civile, penale, lavorativo e in tema di responsabilità professionale; soluzioni assicurative per tutti gli ambiti, per la professione e la vita privata, e consulenti specializzati a cui rivolgersi in ogni momento. E poi convenzioni esclusive per accedere a servizi legali e assicurativi, viaggi e sport a condizioni vantaggiose. Contenuti dei corsi volti alla digitalizzazione in sanità sono dedicati ai medici definiti ‘fuori dal guscio’, che potranno così ottenere un supporto nel percorso verso la digitalizzazione, così come richiesto dal Pnrr.

Massimo Tortorella 

Inquinamento, nel Bresciano un’azione legale collettiva per il diritto alla salute

I bambini sono più vulnerabili ai danni dell’inquinamento. Avrebbero diritto a vivere in un ambiente salubre, così come lo avrebbero gli adulti. Non per tutti è così. La stima, ricavata sommando i residenti nei comuni che annualmente superano le emissioni di inquinanti stabilite dalla legge e documentate da Arpa, è che solo nel Bresciano siano almeno seicentomila le persone che respirano aria troppo inquinata. Quasi la metà dei residenti. Di queste, oltre cinquantamila sono bambini al di sotto dei dieci anni di età. La violazione del diritto a vivere in un ambiente sano, stabilito dalla Costituzione e dalle norme comunitarie,
oggi può essere contestata attraverso un’azione legale collettiva con la quale è possibile chiedere un risarcimento e, soprattutto, sensibilizzare le istituzioni a prendere – o continuare a prendere – provvedimenti efficaci per il futuro. Liberi di respirare «Per essere liberi di respirare» è il nome dell’azione legale – alla quale hanno già aderito migliaia di persone nel Bresciano – intrapresa contro lo Stato italiano, così come già accaduto contro la Francia, dal network legale . La contestazione si riferisce all’arco di tempo che va dal 2008 al 2018 e riguarda le realtà che non avevano rispettato la direttiva comunitaria del 2008 che aveva, tra gli scopi, quello di «definire e stabilire obiettivi di qualità dell’aria ambiente al fine di evitare, prevenire o ridurre gli effetti nocivi per la salute umana e per l’ambiente nel suo complesso». Per aderire all’azione legale collettiva è richiesta la residenza – nel periodo 2008/2018 – per almeno un anno continuativo in un comune ove si è verificato il superamento delle soglie massime di polveri sottili e di biossido di azoto . In quel caso, dopo aver inserito il nome del comune, sul sito esce la scritta: «Ci dispiace, l’Aria che hai respirato non è Pulita. Ma c’è una buona notizia: puoi aderire all’azione legale collettiva». Se, invece, il comune di residenza «è salubre», la scritta è: «I Comuni in cui hai vissuto non hanno superato, al momento, i limiti della Direttiva Comunitaria». Sui bimbi i danni più gravi Dell’azione legale si è parlato in un recente incontro promosso da Consulcesi durante il quale sono emersi dati sui rischi per i più piccoli. Il
pediatra David Korn, responsabile dei progetti di Digital Health del Gemelli Irccs, ha spiegato perché i bambini, pur non avendo contribuito all’inquinamento atmosferico, ne subiscono i danni più gravi. «Prima di tutto, i più piccoli respirano molto più rapidamente di un adulto. Un bimbo di 6 mesi, infatti, inspira circa 24 volte al minuto contro i 12 di una persona adulta. Questo vuol dire che, nonostante le piccole dimensioni, essi sono in grado di inalare una gran quantità di polveri sottili ed altre sostanze tossiche presenti nell’aria. I bambini sono più bassi o trasportati sui passeggini, respirano quindi molto più vicini al
suolo ed ai gas di scarico delle nostre auto. Infine, sono organismi in rapidissima crescita : un neonato nei primi sei mesi di vita raddoppia il proprio peso, passando da circa 3 a 6 chili. Questo processo di eccezionale duplicazione cellulare è molto vulnerabile agli agenti inquinanti presenti nell’aria proprio che possono danneggiarlo in modo irreparabile».

Massimo Tortorella  – Consulcesi