Consulcesi, network legale con sede in Svizzera, promuove un’azione legale collettiva che ipotizza enormi risarcimenti per gli abitanti di città italiane che hanno sforato i limiti di inquinamento. Al costo di 350 euro.
Davvero così facile?
Se per una volta qualcuno dovesse pagare per il carico di smog che quotidianamente, da anni, perfino decenni, respirano gli abitanti delle zone più inquinate d’Italia? Se in cambio di quel rischio per la propria salute, potessero ottenere un lauto risarcimento da parte di quelle autorità locali e nazionali che non hanno fatto abbastanza per proteggerli da particelle sottili e biossido di azoto?
L’azione legale di Consulcesi e il boom d’interesse
È su queste premesse che il network legale Consulcesi ha avviato nell’estate del 2023 l’azione legale collettiva “Aria pulita”, ottenendo, secondo i dati forniti dagli stessi promotori, un successo imponente.
Addirittura a sei mesi dal lancio, ben 1,15 milioni di italiani, avrebbero manifestato interesse all’azione collettiva (211mila solo a Milano, 140mila a Roma). Per questo, il Salvagente ha deciso di approfondire la questione nel servizio sul numero in edicola a maggio.
350 euro per aderire
Un dato che sorprende, anche in considerazione del fatto che, per aderire all’azione legale collettiva (che tecnicamente non può definirsi class action, viste le differenze in qualche aspetto), Consulcesi chiede un versamento di 350 euro, non certo pochi spicci. Perché allora così tanto entusiasmo?
La direttiva Ue sugli standard di qualità Probabilmente perché in caso di successo ogni ricorrente, almeno secondo le affermazioni dei promotori, potrebbe accedere a un risarcimento enorme: anche diverse centinaia di migliaia di euro. E proprio queste cifre, così come il battage sui social della campagna, oltre alla mole di persone interessata ci hanno spinto ad approfondire. “Se hai vissuto in aree inquinate, puoi aderire all’Azione collettiva e chiedere il
risarcimento” spiega Consulcesi sul proprio sito. Un’azione basata sulla Direttiva comunitaria 50 del 2008 che prevede specifici standard di qualità dell’aria, rispetto ai livelli massimi di Pm10 e NO2, che tutti gli Stati membri dell’Unione europea devono rispettare per tutelare i cittadini dai rischi derivanti dall’inquinamento atmosferico.
Le procedure d’infrazione
Lo Stato membro è considerato inadempiente quando non recepisce una direttiva, quando la recepisce in ritardo o quando la legge di recepimento non raggiunge gli obiettivi stabiliti dall’Unione europea. In tutti questi casi, la Commissione europea può avviare una procedura d’infrazione, e se vengono confermate le violazioni e l’inerzia dello Stato membro, si può giungere a una condanna che può consistere nel pagamento di sanzioni economiche E qui si inserisce Consulcesi, secondo cui “qualora il cittadino non possa godere di un diritto attribuito dalle normative europee a causa della mancata o ritardata attuazione di una direttiva, ha la possibilità di intentare una causa per chiedere il risarcimento allo Stato inadempiente”.
Il risarcimento richiesto
Nel caso di Aria Pulita, l’azione collettiva volta a ottenere un risarcimento per il potenziale danno alla salute, “si rivolge nei confronti dello Stato italiano e delle regioni che non hanno rispettato i limiti” imposti dalla direttiva comunitaria. Ma come si arriva all’ipotesi, senza dubbio invogliante, di ritrovarsi fino a centinaia di migliaia di euro di risarcimento? È la stessa Consulcesi che guida il potenziale cliente attraverso una procedura, dopo una registrazione con i propri dati personali, che porta a compilare un form in cui viene chiesta la città di residenza e gli anni in cui ci si è vissuto dal 2008 al 2018. “Richiederemo, fino a 99
euro per ogni giorno di residenza, per ogni giorno vissuto nella zona di inquinamento accertato” spiega il network, che però chiarisce: “Il risarcimento giornaliero può variare in base alla valutazione discrezionale del giudice”. In base al calcolo dello stesso sito, simulando di essere residenti per il tempo massimo considerato nella città di Roma, viene fuori che possiamo ambire addirittura a oltre 397mila euro. Se queste sono le cifre, un investimento di 350 euro a fronte dell’azione collettiva è poca roba. Ma una causa del genere ha speranza di riuscita nel nostro paese?
Le problematiche relative al tipo di azione legale
L’avvocato Andrea Farì dello studio legale Ambientalex, docente di diritto dell’ambiente all’Università Lumsa, spiega al Salvagente: “Il tema è a cosa servono queste cause. Se le immaginiamo come strumenti, le cosiddette liti strategiche per indurre l’amministrazione o l’ente competente di turno, a muoversi, ad adottare atti che magari negli anni non ha adottato o che ha adottato in modo inefficiente, probabilmente sono strumenti che possono trovare una loro utilità. Ma – continua Farì – da quello che ho potuto leggere on line, questa è una causa che sembrerebbe riconducibile non tanto all’ambiente quanto alla tutela risarcitoria del danno alla salute”.
Si chiede un risarcimento anche per chi non ha evidenza di patologie
Tra gli aspetti critici, sempre restando al merito, secondo Farì, il fatto che “per ottenere un risarcimento però presuppone due cose, la prima che il danno alla salute ci sia, perché il verificarsi di un fatto di inquinamento non implica, di per sé, l’automatica sussistenza di un danno alla salute, e come secondo tema il nesso causale, cioè la dimostrazione che il danno sia dovuto all’inquinamento”. A questo si aggiunga la criticità di ottenere un risarcimento sia per una persona che si è ammalata che per una che è in perfetta salute, ma teme di ammalarsi in futuro. “Il problema si pone alla luce del fatto che, per quanto è dato comprendere, non sembra che la sussistenza di una malattia in atto (riconducibile all’inquinamento) costituisca presupposto per partecipare all’azione essendo, almeno all’apparenza, sufficiente la sola residenza nell’area interessata dai fattori inquinanti”, commenta Farì.
La differenza con il caso Eternit
Per quanto riguarda il nesso causale, “su questo certamente ci sono delle assonanze che possono essere valorizzate. Per dire, chi si è ammalato per l’Eternit e ha dimostrato che la propria forma cancerogena dipendeva da quello, certamente ha potuto far conto sulla non corretta gestione di quel materiale e quindi chiedere risarcimento a chi era responsabile di quella gestione del materiale”, ragiona l’esperto di Ambientalex, mentre dimostrare un rapporto causa-effetto sul danno potenziale per la qualità dell’aria, parlando di casi singoli, è più problematico, tanto più che, aggiunge Farì: “Ci sono sentenze della Corte di giustizia che proprio sulla direttiva della qualità dell’aria, quella per la quale l’Italia è stata condannata per inadempienza, dicono che da essa non discende un diritto soggettivo azionabile dei singoli”.
Spetta al giudice decidere
Altro aspetto delicato è il riferimento alle cifre di possibili risarcimenti: “Non esistono ancora i criteri di quantificazione del danno ambientale, li aspettiamo dal 1986 in Italia, quindi immagino che criteri così univoci ancora siano quantomeno non consolidati” commenta Farì, “il giudice, di regola, valuta danni alla salute caso per caso, tenendo conto dei differenti effetti su ciascun soggetto. Appare quindi difficile quantificarli in astratto in una misura applicabile a una intera classe di soggetti, inevitabilmente caratterizzati da peculiarità individuali”.
Marketing aggressivo: una questione deontologica
Passando dal merito al metodo, a suscitare interrogativi è il marketing aggressivo da parte di Consulcesi relativamente all’azione legale Aria Pulita. La deontologia dell’Ordine degli avvocati nel nostro paese da questo punto di vista è molto stringente sia sulle forme di pubblicità che sulle modalità di accaparramento
di clienti. Ad approfondire la questione con il Salvagente è l’avvocato Carla Secchieri, fino al 2022 membro della commissione Deontologia del Consiglio nazionale forense: “La materia – spiega l’esperta- è regolata
dagli articoli 17 e 35 del Codice deontologico forense. È consentito all’avvocato dare informazioni sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti. Le informazioni diffuse pubblicamente con qualunque mezzo, anche informatico, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative. La pubblicità dell’avvocato – aggiunge – incontra poi i limiti del divieto di accaparramento della clientela”.
Consulcesi è una società di servizi, non uno studio legale
Bisogna qui chiarire un aspetto: Consulcesi tecnicamente è una società di servizi con sede legale in Svizzera che si appoggia ad avvocati italiani in caso di azioni nel nostro paese, e non uno studio legale, dunque il tipo di promesse e messaggi allettanti presenti sul suo sito non deve sottostare allo stretto Codice deontologico
degli avvocati italiani. Questo naturalmente non significa che non dovrebbe rispondere, come qualsiasi altra azienda operante nel nostro territorio, di eventuali accuse di scarsa trasparenza o pubblicità ingannevole, ma a interessarsene in questo caso sarebbe l’Autorità garante per le comunicazioni o l’Antitrust.
Le spese non considerate tra le pieghe del “legalese”
A ben guardare, nel contratto che propone Consulcesi per aderire all’azione legale collettiva, alcuni passaggi potrebbero non essere facilmente intellegibili da una persona che non mastica il “legalese”. Per esempio, il corrispettivo di 350 euro per farsi rappresentare, spiega il contratto, “si intende comprensivo
delle spese per l’avvio dell’azione giudiziaria collettiva e degli onorari spettanti al legale incaricato ai fini della rappresentanza nel I grado di giudizio, non comprendendo spese eventualmente disposte dall’organo giudiziario competente”. Ma quali potrebbero essere queste spese, ce lo spiega l’avvocato Secchieri: “Quelle, ad esempio, che si dovrebbero sostenere nell’ipotesi in cui la causa venisse rigettata con condanna alle spese”. E non solo.
Gli approfondimenti a carico del ricorrente che il giudice può disporre
Durante il processo il giudice potrebbe disporre degli approfondimenti, delle perizie di parte, per esempio, e in quel caso, toccherebbe ai ricorrenti mettere mano al portafogli. Insomma, anche solo a volersi fermare al primo grado di giudizio, i 350 euro potrebbero lievitare e non di poco. Al contrario, se a ventilare il possibile risarcimento di centinaia di migliaia di euro fosse un avvocato che opera per conto di Consulcesi, la situazione sarebbe differente: “Sia il Consiglio nazionale forense che la Corte di Cassazione nell’esaminare un caso simile hanno ritenuto sussistente la violazione dell’articolo 37 del Codice di condotta per l’inosservanza dell’espresso divieto di offrire, senza esserne richiesto, una prestazione rivolta a potenziali interessati per uno specifico affare. La violazione va però esaminata nel concreto” specifica Carla Secchieri, che aggiunge come in tal caso, la sede legale in Svizzera non potrebbe agire come scudo: “È
irrilevante se l’avvocato ha uno studio in Svizzera, se è iscritto a un ordine degli avvocati italiano. Ove si trattasse di un avvocato svizzero, ammesso che sia abilitato ad esercitare in Italia, la competenza disciplinare è concorrente. Vale il criterio della prevenzione, ossia di chi apre per primo il procedimento disciplinare”.
Dunque, a sentire gli esperti, quella di Consulcesi è un’azione legale dagli esiti incerti. Probabile invece che, comunque vadano le sentenze, Aria Pulita porterà allo stesso network tanti soldi e altrettanta pubblicità.
Consulcesi: “È la prima del genere, ma possiamo vincerla”
Il Salvagente ha chiesto a Bruno Borin, responsabile legale del network Consulcesi, una risposta ai nostri dubbi e alle perplessità rispetto la loro azione legale Aria pulita. Riportiamo di seguito un estratto dell’intervista.
Dottor Borin, come mai la vostra sede è in Svizzera, e non in Italia?
La scelta è stata quella di internazionalizzare. È il nostro cuore pulsante con diverse risorse con background più internazionale.
Avete già avviato qualche causa in paesi che non siano l’Italia?
Allo stato attuale no.
Com’è possibile ottenere un risarcimento anche per una persona che non ha nessun problema di salute?
Attraverso molti studi, durati anni, siamo arrivati a una relazione tecnico-scientifica prodotta da una società esterna, la Società italiana di medicina ambientale. Alleghiamo migliaia di studi scientifici a livello internazionale, che vanno a dire che c’è una correlazione diretta tra la qualità dell’aria che respiriamo e una miriade di problemi: cardiocircolatori, ictus, respiratori.
Il vostro sito espone delle cifre, parla anche di centinaia di migliaia di euro di risarcimento in base agli anni di residenza nelle aree inquinate.
Quando parliamo del quantum risarcitorio o di un’azione legale, noi siamo molto chiari. In un’azione legale non si può parlare di un successo sicuro al 100%, c’è un’area di rischio e una discrezionalità da parte del giudice, ancora di più in un’azione innovativa come questa.
Ma quanto innovativa? Qualcun altro ha fatto nel mondo azioni del genere?
Con questa struttura no. Parlate di risarcimento fino a 99 euro per ogni giorno vissuto nell’area interessata. Da dove arriva questa cifra?
La stima specifica di quel quantum risarcitorio è legata alle tabelle di Milano, che sono state costruite nel tempo dalla giurisprudenza e che solitamente vengono prese per quantificare anche dei danni non patrimoniali. Però, all’interno dell’atto di citazione, anche per mettere pressione, metteremo quelli come
tanti altri criteri.
I 350 euro servono a coprire tutte le spese per l’intero primo grado di giudizio?
Coprono dall’inizio alla fine fino a sentenza, ma anche la consulenza legale, che ti segue lungo tutto il percorso. Se poi la sentenza non fosse positiva, ci soffermiamo insieme al cliente per valutare tutti i passi, tutti gli step.
Se al primo grado il giudice boccia il vostro ricorso e vi condanna a pagare le spese legali, chi le paga?
La persona che ha messo 350 euro si occuperà in caso di spese di soccombenza di pagare gli importi.
Guardando però anche qui agli importi e al numero di persone, il rischio concreto per un soggetto che partecipa è di poche decine di euro.
Tra le spese che ordina il giudice, a carico del cliente, ci sono per esempio le perizie di parte…
Non ho la sfera di cristallo. Come non posso dire vinciamo o perdiamo. Noi partiamo dall’assunto che certamente ci sono stati questi sforamenti, quindi non ci sarà la necessità di una perizia per valutare ex post se ci sono stati oppure no.
Veramente più di un milione di italiani hanno già aderito alla vostra azione legale aria pulita?
Si tratta di ‘manifestazioni di interesse’ e non di ‘adesioni’, perché è un po’ diverso. Comunque hanno già aderito svariate migliaia di persone.
Avete già avviato le azioni legali?
Sì, alcune le abbiamo già avviate. Abbiamo depositato due azioni a Milano, a Colonno, per la regione Lombardia. In Piemonte, a Torino, nel Lazio, nel Veneto.
Tirando fuori queste cifre di possibili risarcimenti, non state andando a stimolare un comportamento quasi da gioco d’azzardo? Potete farlo dal punto di vista deontologico?
Lo prendo come uno spunto estremamente utile e non come una domanda critica. In realtà da un punto di vista deontologico sì, perché non è l’avvocato che fa questo tipo di sollecitazione sul territorio, ma noi che siamo una società di servizi.
Nel dettaglio?
Consulcesi coordina e gestisce l’azione legale perché predispone il sistema informatico, l’area riservata, le notizie, il rapporto col cliente eccetera, eccetera. Dopodiché fisicamente, Consulcesi sceglie i migliori avvocati sul territorio italiano e da loro mandato. Dunque da un punto di vista dentologico nessuno può
sollevarci nulla, però io sono contrario al gioco d’azzardo, quindi non vorrei che passasse questo tipo di messaggio.